Ho un gruppo su whatsapp, a cui tengo molto. Un piccolo gruppo di amici, sparsi per l’Italia, da nord a sud.
Si chiama “Amici di lettura”.
Al centro ci sono i libri che ciascuno di noi sta leggendo in quel momento, niente recensioni, pochissimi giudizi: si va avanti descrivendo quasi esclusivamente come ci sentiamo in compagnia di quel libro.
Un po’ come se stessimo parlando di un amico e di quanto ci ha aiutato o di quanto ci ha delusi.È un gruppo discreto, dove le parole non si sprecano ed è vietatissimo qualunque spoiler!
E poi succede una cosa bellissima: nessuno consiglia, semplicemente racconta la propria esperienza con quell’autore, con quel titolo e, se gli altri si incuriosiscono, lo leggono.
Non c’è un decalogo, non ce lo siamo detti: è successo naturalmente e credo di avere capito il perché.
Siamo tutti quanti lettori da sempre, di quelli che sono cresciuti con i libri e che hanno imparato presto che leggere non è sempre sinonimo di apprendere e che spesso sono i libri a trovare noi e non il contrario.
Come i bambini ascoltiamo le storie perché ci appassionano, non ci aspettiamo di imparare, ci aspettiamo di sentire; perchè ci entusiasma sapere che ci sia stato qualcuno in grado di dare voce a emozioni che proviamo, capace di raccontare storie che appartengono anche alla nostra vita.
Una volta una mia paziente mi disse:
“Mi capita di leggere dei libri e di sentire che c’è qualcuno che sa cosa provo, perché ha usato le parole giuste per descrivere qualcosa che sento e questo mi fa sentire meno sola”
Capii perfettamente quello che diceva: alcuni libri si leggono ed altri leggono noi.
Si legge per la curiosità e il gusto di sapere cosa si prova ad essere una cortigiana del 700 o un dentista, quando nella vita sei un insegnante, o un poliziotto quando nella realtà sei una impiegata, o un’attrice quando in realtà sei un poliziotto. Vivere le vite che non vivremo mai, ecco cosa ci permettono i libri, estendendo il nostro tempo in avanti e indietro.
C’è stato un intellettuale che ha descritto benissimo questa sensazione ed è Umberto Eco:
“Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito…perché la lettura è un’immortalità all’indietro.”
Quando qualcuno mi consiglia un libro perché “spiega come fare a…”, o “perchè ti fa capire che…”, ringrazio per il consiglio, lo metto in una parte della mia memoria e lì lo lascio.
Dai libri mi aspetto domande intelligenti, piuttosto che risposte.
Le risposte che troviamo in un libro, saranno sempre le risposte di qualcun altro. Intelligenti magari, ma non le nostre.
Le domande, invece, sono di tutti, soprattutto di tutti quelli che sono disposti a farsene, e i libri, quelli buoni, lasciano sempre domande buone.
Durante gli anni dell’università, per mantenermi agli studi, ho lavorato per molto tempo in una libreria, un’esperienza meravigliosa che mi ha spinta a laurearmi con una tesi su ciò che motiva le persone a leggere. Ho imparato molto, sia dal lavoro in libreria che dallo studio per la tesi, soprattutto che non è importante ciò che leggi, ma il modo in cui lo fai; non è importante conoscere tutta la letteratura russa dell’800 o il realismo magico sudamericano se poi questo non ti ha messo di fronte a te stesso aiutandoti a capirti. Un dato in particolare, che emerse dalle mie ricerche, mi colpì, :
i bambini smettono di leggere quando la lettura viene associata alla didattica, quando cioè viene privata della sua funzione ricreativa, fascinatoria ed esperienziale.
Come non capirli! Eliminare l’elemento emotivo e intimo dalla lettura vuol dire dimezzarne l’efficacia.
Certi testi sono in grado di suggerire spunti preziosissimi per la conoscenza di sè. Trovo meraviglioso che un libro come “L’amica geniale” mi faccia sentire le emozioni di Lila e mi aiuti a domandarmi “quali altre alternative aveva Lila per non finire nell’abisso in cui si è trovata?”, quali alternative ho io per non finire nel mio abisso? O che un giallo come “Assassinio sull’Orient Express” mi faccia sentire solidale con i passeggeri di quel treno, e mi domandi “tu che avresti fatto al posto loro?”, “cosa significa vendicarsi e quale effetto produce su un vecchio dolore coltivato con pazienza per anni?”.
Tra le sofferenze che accolgo nel mio studio quella più grande riguarda la polarità finito/infinito, declinabile in molti altri modi: fertilità/sterilità; significante/insignificante, pieno/vuoto…
Siamo, chi più chi meno, alla ricerca di un senso nelle nostre vite e i libri, come l’arte, il teatro, la musica, l’estetica in generale, sono i soli strumenti che possediamo, a parte le relazioni, per trovare quel senso.
Il bello, il pieno, il sublime, l’eccitante, questi sono i traguardi a cui aspiriamo.
Non è forse la soddisfazione di certi bisogni di pienezza il motore principale delle nostre vite? E non è forse vero che, più le domande sono specifiche, più sarà facile trovare risposte specifiche?
I buoni libri, possono essere ottimi strumenti terapeutici, perché proprio come fa un buon terapeuta, non offrono mai, mai, mai, risposte, ma soltanto ottime domande capaci di ispirate le risposte migliori: le nostre!