Qualche tempo fa durante una terapia di gruppo che conducevo con un collega, un paziente, mostrando un po’ di reticenza, ha detto di avere avuto dei dubbi sull’esprimere una certa idea durante la seduta perché non sapeva se poteva farlo. Dopo avere affrontato con lui il motivo di questa “censura”, alla fine del lavoro il mio collega ha aggiunto:
“Esistono molti manuali su come diventare un buon terapeuta ma non ne conosco uno che insegni ad essere un buon paziente!”.
È così che mi sono venute in mente le numerose circostanze in cui i miei pazienti mi hanno chiesto indicazioni su ciò che possono o non possono fare in terapia.
Il rapporto terapeuta paziente anche in questo può essere molto simile al rapporto genitore bambino. Sono i genitori ad avere dei doveri nei confronti dei bambini, non il contrario. I figli hanno il diritto di esprimersi, i genitori il compito di guidarli e contenerli.
I pazienti hanno il diritto di sentire, dire ed essere ciò che sentono e l’esclusivo dovere di rispettare le regole che concordano con il terapeuta e che danno una cornice alla terapia: durata della seduta, onorario del terapeuta, modalità di pagamento, gestione delle sedute saltate, rispetto reciproco. All’interno di questi accordi che tutelano entrambi, il paziente non ha doveri ma solo diritti.
Tuttavia, chi comincia a far terapia per la prima volta, questi “diritti” non li conosce, li scopre con il passare del tempo, come il paziente del nostro gruppo.
Nel suo libro Come un romanzo, Daniel Pennac stila un decalogo: il decalogo dei diritti del lettore, per restituire alla dimensione della lettura il suo ruolo di piacere e non di dovere.
In questo suo piccolo capolavoro, ad un certo punto Pennac dice:
“Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare” e il verbo “sognare”
Prendendo ispirazione da Pennac, ho pensato che fosse utile scrivere qualcosa di più chiaro su questo tema, così ho scritto un “decalogo” di quelli che, secondo me, sono “I diritti dei pazienti”.
Perchè anche “fare terapia”, come il verbo leggere, condivide la medesima avversione per l’imperativo.
I DIRITTI DEI PAZIENTI
1. Il diritto di scegliere il proprio/la propria terapeuta
2. Il diritto di volere cambiare terapeuta
3. Il diritto di volere interrompere la terapia (*)
4. Il diritto di piangere
5. Il diritto di ridere
6. Il diritto di stare in silenzio
7. Il diritto di fare alla terapeuta/al terapeuta qualunque domanda gli passi per la testa (**)
8. Il diritto di saltare una seduta
9. Il diritto di usare quello spazio nel modo che sente più opportuno (***)
10. Il diritto di essere ciò che è.
2. Il diritto di volere cambiare terapeuta
3. Il diritto di volere interrompere la terapia (*)
4. Il diritto di piangere
5. Il diritto di ridere
6. Il diritto di stare in silenzio
7. Il diritto di fare alla terapeuta/al terapeuta qualunque domanda gli passi per la testa (**)
8. Il diritto di saltare una seduta
9. Il diritto di usare quello spazio nel modo che sente più opportuno (***)
10. Il diritto di essere ciò che è.
(*) Comunicare la propria intenzione può far parte di quelle regole di cui parlavo sopra e va definita all’inizio del percorso stabilendo un numero di sedute destinate alla chiusura dopo avere espresso questa intenzione.
(**) Il terapeuta/la terapeuta ha il diritto di rispondere oppure no e, in questo caso, il dovere di spiegarne il motivo.
(***) Il terapeuta/la terapeuta ha il dovere di rispettare quel vissuto, tuttavia ha anche il compito di aiutare il paziente ad esprimere i propri bisogni e di ricercare insieme a lui il significato di quella richiesta.